Il 27 agosto al Castello Ursino di Catania il testo di Luigi Favara con la regia di Gianni Scuto. Si racconta l’umanità del “Che” e le emozioni della rivoluzione cubana
In un’epoca di relativismo politico, religioso, etico, parlare di rivoluzione può sembrare avulso. Eppure è necessario, sempre più impellente. Lo fa, con il piglio che gli è noto, Luigi Favara, con il suo “Ricordi di un campesino” che torna in scena con un cast rinnovato e la regia di Gianni Scuto. Sabato 27 agosto alle 21 nella Corte del Castello Ursino di Catania nell’ambito del Catania Summer Fest 2022, rivivremo le gesta eroiche e “folli” dei rivoluzionari cubani (e non solo: sudamericani, europei…) che a bordo del Granma si lanciarono alla volta della riconquista della libertà.
«Con “Ricordi di un campesino” Luigi Favara, uno degli ultimi cantori di quell’immensa rivoluzione cubana che portò al potere i cosiddetti
“Barbudos”, Fidel Castro, Raul, il Che e tutti i loro compagni che lottarono strenuamente contro la dittatura militare di Batista – annota il regista, Gianni Scuto – ci vuole restituire una storia che forse molti hanno dimenticato e che proprio in questi giorni andrebbe rispolverata per ricordare alle nuove generazioni la figura di Ernesto Guevara De La Cerna, uno dei più grandi uomini e rivoluzionari del nostro tempo.
Lo spettacolo, attraverso il racconto puntuale di alcuni protagonisti della storia: Nonno Pepito, compagno di mille battaglie del Che e sua moglie, l’inseparabile amico Alberto Granado, la stessa Celia, madre del Che e con la partecipazione di altri attori-narratori, ci descrive nell’arco di meno di dieci anni la storia, i sentimenti, la forza, lo sprezzo del pericolo, i legami familiari, le idee pure del grande rivoluzionario argentino che dopo aver partecipato attivamente alla rivoluzione cubana assieme al suo amico Fidel e dopo aver ricoperto importantissimi incarichi pubblici, lascia tutto per andare in Bolivia a “continuare” la sua rivoluzione. L’umanità di Ernesto Che Guevara viene così fuori a tutto tondo, specie nella descrizione del suo profondo rapporto con la madre e con i propri
figli, ma ancor di più mostrando il suo totale disinteresse materiale e di potere, se non per la riuscita della “sua” rivoluzione.
Un racconto il nostro, che al di là dell’adesione alle idee marxiste e rivoluzionarie del Che, rimane molto appassionante ed interessante,
specie per inquadrare meglio la figura umana e i sentimenti di quest’uomo che ha segnato, volente o nolente, l’intera storia della
seconda metà del ‘900».
I due atti di “Ricordi di un campesino” sono una produzione “Oltre le Quinte Onlus” con musiche, video, scene e costumi a cura di Marco Favara. In scena, vedremo Barbara Cracchiolo, Lina Giuffrida, Enrico Pappalardo, Fabrizio Savoca, Liliana Scalia, con la partecipazione straordinaria dell’autore nel ruolo di Alberto Granado. Ed ecco quindi l’autore, Luigi Favara, che così scrive:
«Chi ha frequentato casa mia, sa bene che nella stanza che funge da studiolo spiccano innumerevoli foto del CHE, le quali, lasciano appena un piccolo spazio alla mia laurea, guarda caso in medicina come la sua! Certo, qualcuno dei miei vecchi “ex compagni” sostiene che io mi vanto di dormire con le bandiere rosse al capezzale. Vi garantisco che non si sbaglia, perché come diceva Aristotele: “È bennato colui che vive conforme alla virtù: nobile colui che non degenera dalla sua natura”.
Non ho avuto la fortuna di conoscere il CHE, intendo di persona, eppure lo amo tanto come si può amare il padre, la madre oppure i figli!
Molto è stato scritto intorno a questo “guerrigliero”, leader carismatico e ideologico.
Il nove ottobre del 1967 la vita di Ernesto Guevara de La Serna, conobbe una fine improvvisa ed immeritata nella giungla della Bolivia sudorientale. Nacque così un mito inestinguibile: per una combinazione quasi magica tra figura individuale e spirito dell’epoca, il “CHE” divenne il martire estremo, un modello anche al di fuori della cerchia di chi ne condivideva l’ideologia, l’emblema per una generazione che credeva di potere trasformare il mondo (i giovani di ieri) ed anche per coloro i quali, all’ombra di un “mito” credono di migliorare attualmente il mondo (i giovani di oggi). Ernesto Guevara nasce in una famiglia colta e anticonformista e cresce in un ambiente dove gli amori giovanili, le sue inquietudini, la sua fondamentale “a-politicità” originaria, sono il non plus ultra, fino a quando però, affronta, a bordo della “Poderosa”, i suoi viaggi “antituristici” per l’America latina in visita a lebbrosi e diseredati; è a questo punto che la sua vera personalità si dispiega con le sue scelte! Questo mio modesto lavoro non vuole essere né una beatificazione né un attacco a questa straordinaria figura, ma si prefigge come scopo, quello di comprendere, l’uomo, il figlio, il padre ed anche il guerrigliero! In esso sono presenti vari momenti artistici che, la regia di Gianni Scuto, ha legato tra loro per rendere più efficacemente un quadro della vita di Ernesto Guevara, che difficilmente può compattarsi in un semplice racconto! Tutto ciò aiuta a capire come il mito del CHE abbia potuto superare indenne la crisi delle ideologie e riaffiorare più attuale che mai, diventando figura carismatica ed icona della contestazione anche per gli oppositori delle teorie marxiste. Tempo fa lessi a mia figlia Cristina, cui è dedicato questo lavoro, il “testamento di vita del CHE”. Spero di leggerlo un giorno anche ai figli dei miei figli! Non per prolungare la mia esistenza terrena, quella è destinata a volgere al termine, ma perché il mondo possa essere più buono. Il CHE avrebbe usato il termine “più giusto”. Nessuna opera, letteraria o meno, vale più di una vita ben spesa: quella di Ernesto Guevara de La Serna! Spero, un giorno d’incontrarlo, nelle valli dell’Eden, dove gli eroi vivono frammisti agli uomini. Lo riconoscerò subito, per il suo inconfondibile sigaro, per la sua asmatica tosse e dal suo amore per la mia
libertà!»
L’ingresso è libero su prenotazione email a luigifavara@hotmail.it
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